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sabato 14 maggio 2011

Sotto la crosta di Io, uno dei satelliti di Giove (scoperto da Galileo Galilei) gli scienziati americani hanno trovato un oceano di magma















Io è uno dei satelliti di Giove, il più vicino al grande Pianeta, ed è da tempo sotto osservazione per alcune sue stranezze. Questa settimana, nella rivista Science, ne è stata descritta un'altra: sotto la sua crosta solida ci sarebbe un oceano di magma incandescente.
I dati per capirlo erano lì da 10 anni e passa, li aveva raccolti la sonda NASA Galileo nel 2000, ma c'è voluto tutto questo tempo per permettere ai ricercatori di varie Università americane, fra cui spicca quella di California a Los Angeles, UCLA, per riuscire a capire cosa ci stavano "dicendo". La scoperta è importante perché si pensa che sia la Terra che la Luna, miliardi di anni fa, fossero in uno stato simile. Io ci darebbe insomma in qualche modo una foto del nostro passato, anche se un po' sfuocata.



Nonostante questo lontano satellite sia una quarantina di volte meno voluminoso della nostra Terra e una sessantina di volte meno massiccio, erutta 100 volte più lava sulla sua superficie ogni anno di quanto facciano i vulcani terrestri. Quindi piccolo, d'accordo, ma molto caldo e agitato, anche perché mentre da noi il magma incandescente arriva ai 1200 - 1300 gradi, su Io arriviamo ai 2000 gradi. E i vulcani lì sono tanti, probabilmente più dei 1500 attivi attualmente sulla Terra, di cui 10 in Italia, e distribuiti uniformemente sulla superficie di tutto il satellite e non raggruppati, come sul nostro Pianeta, dove li incontriamo nelle aree di raccordo delle varie faglie sotterranee.
Subito sotto la crosta di Io, che è di dimensioni circa doppie della Luna, ci sarebbe quindi uno strato di materiale magmatico spesso non meno di 50 chilometri, ma forse molto di più. Questo spiega le continue abbondanti eruzioni con pennacchi, osservati dalle sonde spaziali, che arrivano ai 300 chilometri di altezza, mentre il meccanismo che "scalda" il satellite e innesca le eruzioni è senz'altro dovuto alle enormi maree che Giove, centinaia volte più massiccio della Terra, esercita su Io. In altre parole pensiamo pure a una palla bucata in mille punti con dentro del liquido caldo, il magma, e due forti mani, la gravità di Giove dovuta alla sua imponente massa, che la schiaccia ora qua e ora là. Ma se Giove si diverte a far zampillare lava dai vulcani della sua luna più vicina, Io non sta con le mani in mano e più erutta lava e più distorce il campo magnetico di Giove stesso.
Nonostante tutto il necessario per capire il fenomeno fosse in archivio da 10 anni i ricercatori hanno dovuto cercare di riprodurre in laboratorio il fenomeno, specie per capire come faceva Io, una formica, a disturbare il campo magnetico gioviano, un elefante. Alla fine, come pubblicato questa settimana dai ricercatori USA, il risultato è stato chiaro: il magma incandescente è diverso da quello terrestre, è un composto semiliquido di magnesio e ferro, tale da poter spiegare l'effetto osservato. Rocce, solidificate di questo tipo sono presenti anche sulla Terra, ad esempio in Scandinavia.
Io è un satellite molto "italiano" e importante per la Scienza. Galileo Galilei lo osservò da Padova nelle notti fra il 7 ed il 10 gennaio 1610, con il suo rudimentale cannocchiale, assieme agli altri 3 satelliti: Europa, Ganimede e Callisto. Vederli girare attorno a Giove, nessuno prima lo aveva fatto, lo convinse che nello stesso modo erano i pianeti, compresa la Terra, a girare attorno al Sole. L'evidenza scardinava il sistema di conoscenza di allora, che reggeva da centinaia di anni. Credo a quello che vedo e che posso provare e ripetere, questo il succo di quelle notti fredde di cui darà conto nel suo "Nunzio Sidereo". E fu l'inizio di ciò che oggi chiamiamo Scienza, e scusate se è poco. Per questo la missione fu chiamata Galileo, in onore della sua intelligenza e coraggio.
Lanciata nel 1989, ottobre, finì nel 2003, settembre. Studiò a lungo Giove e i suoi satelliti, fra cui primariamente proprio i 4 scoperti dal Galilei. Dopo aver viaggiato per 4.6 miliardi di chilometri finì la sua missione immergendosi su Giove stesso. In tutto costò 1.5 miliardi di dollari circa e fece lavorare 800 tecnici e scienziati. La conoscenza di Giove, il grande regolatore del Sistema planetario e molto importante anche per la vita sulla Terra, è cresciuta enormemente grazie a questa missione e, come si vede, i suoi archivi riservano ancora importanti sorprese.

martedì 10 novembre 2009

L'epidemia perfetta.


In questi ultimi anni vanno sempre piu' di moda i film catastrofisti: ricordate la tempesta perfetta, Meteor (1979), Deep Impact (1998), Armageddon ( 1998), The day after tomorrow (2004), eccetera ? Immaginate di applicare la stessa logica alla medicina, cosa immaginereste se foste lo sceneggiatore ? Una epidemia catastrofica mettendo assieme le peggiori paure degli scienziati ed ecco che nasce lo scenario che i giornali ci presentano in questi giorni. Che un asteroide colpisca la terra e la disintegri non e' poi cosi' difficile ma nessuno di noi passa le notti insonne osservando il cielo e pregando che non succeda, lo stesso vale per l'epidemia perfetta, potrebbe accadere se si verificassero alcune evenienze ma chi ci dice che avverra' ? Vediamo, facendoci aiutare dalla storia, cosa ha ispirato gli scienziati e poi i giornalisti. A tutti noi non puo' non venire in mente un flagello che i nostri nonni ci raccontavano con terrore, un nome tanto sinistro quanto lo e' nel nostro immaginario collettivo la "peste nera" del '600: l'epidemia di "spagnola".
Il 17 settembre 1918 in un campo di addestramento vicino Boston un soldato marco' visita accusando febbre molto alta. Sulle prime i medici pensarono ad una meningite ma, nel giro di una settimana, il 23 settembre i casi registrati nei 45.ooo soldati del campo
erano 12.604 ed alla fine dell'epidemia i morti furono quasi 800 !. Molti morirono meno di 48 ore dopo la comparsa dei sintomi soffrendo orribilmente prima di morire per soffocamento. Questa insolita serie di sintomi non corrispondeva ad alcuna malattia conosciuta per cui William Herny Welch, insigne patologo dell'epoca, ipotizzo' si trattasse di un nuovo tipo di infezione o di una "peste". In realta' era soltanto un 'influenza che tuttavia tra il 1918 ed il 1919 provoco' 40 milioni di vittime scomparendo poi velocemente come era comparsa. Nel 1930 si scopri' che l'influenza e' provocata da un virus ma nessuno aveva conservato i i campioni di quell'agente patogeno per studi posteriori. Oggi grazie agli studi di JK Taubenberger, A H Reid e T G Fanning e alla previdenza dell US Army Medical Museum siamo riusciti a recuperare porzioni dell'antico virus e studiarne le cratteristiche. Dopo il 1918 i virus influenzali di tipo pandemico sono ricomparsi due volte nel 1957 e nel 1968 e ceppi influenzali che di solito infettano solo gli animali hanno periodicamente provocato la malattia anche nell'uomo come e' avvenuto per l'aviaria in Asia. Gli studi sulla spagnola non sono quindi stati determinati solo da curiosita' storica ma la comprensione di cosa rese quel virus cosi' aggressivo puo'
orientare lo sviluppo di cure e misure preventive in modo da individuare meglio le origini di futuri ceppi pandemici. La Spagnola contagio' un terzo della popolazione mondiale anche in lande isolate e remote e fu insolitamente grave con tassi di mortalita' tra il 2,5 ed il 5% (50 volte maggiori di quelli di una normale influenza).
Gli antibiotici non erano stati ancora scoperti e buona parte delle vittime mori' di infezioni batteriche sovrapposte. Una parte delle vittime mori' invece in seguito alla polmonite causata dal virus stesso che in alcuni soggetti in pochi giorni produsse gravi emorragie polmonari. La maggior parte delle vittime furono giovani tra i 15 ed i 35 anni di eta'. Molti furono i tentativi di comprendere la dinamica della pandemia ma il virus rimase nascosto per 80 anni. Nel 1951 un gruppo di scienziati si reco' in un remoto villaggio dell'Alaska (Brevig Mission) dove l'85% della popolazione era stata decimata dall'infezione ed i corpi dei deceduti erano stati sepolti nel permafrost ed i coponenti della spedizione speravano di ritrovare il virus conservato nei polmoni delle vittime. sfortunatamente tutti i tentativi di isolare il virus fallirono. Nel 1995 JK Taubenberger, A H Reid e T G Fanning iniziarono a cercare il virus nei tessuti conservati dall'istituto
di patologia dell'esercito americano che conserva 3 milioni di campioni. I tentativi fatti per isolare frammenti del virus in questi campioni dettere qualche risultato peraltro frammentario finche' nel 1997 il patologo J Hultin in pensione si offri' di tornare e Breving Mission per tentare una nuove esumazione. 46 anni dopo il suo primo tentativo Hultin ottenne alcune biopsie polmonari congelate provenienti da 4 vittime dell'influenza. In uno di questi campioni venne ritrovata l'intera sequenza RNA del virus che forni' la chiave di accesso per determinare la sua composizione. Ma cosa possono raccontarci queste sequenze sull'origine e sulla virulenza della spagnola ? Per rispondere e' necessario conoscere almeno un po' come funzionano i virus influenzali. L'influenza e' determinata da tre gruppi di virus detti A, B e C. I B e C infettano solo gli esseri umani e non hanno mai provocato pandemie. I virus A contagiano invece una gran varieta' di animali compresi pollame, suini, cavalli, esseri umani ed altri mammiferi. Gli uccelli acquatici, come le anatre, fungono da serbatoio naturale per tutti i sottotipi di influenza A: il virus infetta l'intestino dell'uccello senza causare sintomi. Questi ceppi aviari selvatici pero' nel tempo possono mutare e scambiare materiale genetico con altri ceppi influenzali producendo
nuovi virus in grado di diffondersi tra gli animali domestici. Fino a non molti anni fa i dati suggerivano che un virus aviario difficilmente sarebbe stato in grado di infettare l'uomo invece nel 1997 a Hong Kong 18 persone vennero infettate dal virus aviario H5N1 e 6 morirono. Focolai di una forma ancora piu' patogena di quel ceppo si sono diffusi nel pollame asiatico tra il 2003 e il 2004 causando 30 morti.
Basta la mutazione di un solo amminoacido per determinare una modifica della forma tridimensionale della emoagglutinina (proteina che ricopre il virus) e che consente al virus di aderire prima e penetrare poi nella cellula ospite aggancianciandosi cosi' all'uomo invece dell'oca o del maiale.
Grazie alla genetica inversa, partendo dal materiale recuperato si e' riusciti a costruire u virus con alcuni geni del virus della spagnola con i quali si sono infettati topi per comprendere quali erano i meccanismi della eccezionale capacita' di diffusione del virus e della sua cattiveria. Oltre a consentire lo studio del virus del 1918 questi studi consentono anche di indagare la reale pericolosita' dei virus H5N1 per gli esseri umani. Come abbiamo detto questo virus in Asia e' stato trasmesso dai polli all'uomo infettando 40 persone ed uccidendone 30. IL fatto inquietante e' tuttavia la constatazione che una delle vittime non e' stata infettata dai polli ma dalla figlia. Il contagio uomo/uomo potrebbe suggerire una mutazione del virus che si e' adattato a diffondersi piu' facilmente tra gli esseri umani sia per mutazione sia riconbinandosi con virus umani che normalmente circolano nella popolazione.
Questo sviluppo potrebbe aumentare le probabilita' di una pandemia umana estremamente pericolosa. Sperando di poter prevedere e quindi prevenire un simile disastro numerosi laboratori intendono testare alcune combinazioni di H5N1 con ceppi influenzali umani per valutarne la pericolosita' e la possibilita' che compaiano spontaneamente. Questi studi ci hanno consentito di stabilire che i farmaci antivirali attuali (in gran parte sviluppati per curare l'AIDS) sarebbero efficaci contro il virus del 1918 ed anche contro l'H5N1.
Gli studi sul virus del 1918 si sono pero' spinti anche alla ricerca del suo luogo d'origine: aprendo una finestra sul passato ci aiutano a capire che cosa potrebbe scatenare una nuova pandemia.
Gli studi hanno dimostrato che il virus del 1918 derivato da un ceppo aviario aveva trascorso un periodo abbastanzain un ospite intermedio dove aveva accumulato numerose mutazioni, si sospetta un passaggio nel maiale ma e' da molti contestato, la verita' e' che su questo argomento non ci sono al momento notizie certe.
IL problema e' quindi, alla luce delle conoscenze, quello di far circolare questi virus il meno possibile nella popolazione (e questo lo si fa vaccinando almeno il 50% della popolazione) per evitare che circolando possano incontrare altri virus, cambiare ospite, mutare o ricombinarsi dando origine ad una forma estremamente contagiosa e pericolosa. Il virus della morte nera quindi ancora non esiste, non dobbiamo temere la influenza A che al momento e' solo piu' contagiosa della normale ma non ancora piu' cattiva. Come la tempesta perfetta quella cattiva potrebbe svilupparsi e diffondersi ma potrebbe anche non succedere nulla di catastrofico proprio come avviene nel filone dei film che abbiamo citato.