giovedì 22 dicembre 2011

IL COLA



Ci sono persone che non sono persone normali: sono una visione, un alito di vento, un soffio di vita, un sogno... "Cola" era uno di questi. Quando nella Sacra Scrittura leggi: ".. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre Egli se n'andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? ..." se hai conosciuto Nerio Marini non puoi non identificarlo con uno di quegli "uomini in bianche vesti". Se gli angeli si manifestano in qualche modo in questo mondo essi prendono le sembianze di queste persone.
Sono uomini umili, semplici come il "cola" che si muoveva sempre in bicicletta (ed in bicicletta è morto, travolto da un TIR),che non aveva famiglia se non la Croce Verde, sono uomini allegri, sorridenti, aperti al prossimo, sono quelli che ti fanno compagnia nella solitudine, che ti soccorrono nel bisogno, che gioiscono con te e con te soffrono e piangono. Oggi tutta la città ha perso un fratello maggiore.

lunedì 1 agosto 2011

Il clandestino delle stelleVoyager 1 va nell'universo



Dopo trentaquattro anni la sonda sta lasciando il Sistema solare per la Via Lattea. Con sé porta il celebre "Disco d'oro", con la speranza che anche gli altri abitanti dell'Universo possano ascoltare Chuck Berry e Beethoven


di VITTORIO ZUCCONI

La prima immagine della Terra vista dal Voyager 1 Chissà se ha pianto questo bambino di 722 chili, quando è uscito dal grembo del Sole e ha cominciato la vita fra le stelle? Chissà se Voyager 1, il primo clandestino dell'Universo, ha avuto paura, se già sta provando nostalgia di quel pianetino e di quel sistema solare che ha abbandonato per emigrare e dove era stato concepito con amore e con trepidazione 33 anni, 10 mesi e 31 giorni or sono? Se anche stesse piangendo, naturalmente nessuno lo potrebbe sentire, nel vuoto che lo avvolge ora che ha bucato l'eliosfera, la sacca amniotica che lo ha avvolto per tutta la sua esistenza, ed è arrivato laddove nessun figlio degli uomini era mai arrivato nei 13 miliardi di anni dal Big Bang. Soltanto noi, qui nella casa dalla quale se ne andò, riusciamo ancora a percepire qualche vaghissimo segnale anche se impiega sedici ore per raggiungerci. Ma uno dei suoi genitori, Tom Krimigis, ancora lo segue e vorrebbe proteggerlo perché, come sappiamo, un figlio è per sempre e non si smette mai di essere padri e madri.IL VIDEO CON IL CONTENUTO DEL "DISCO D'ORO"1Si sa che ha lasciato il Sistema solare, questo angoletto di Universo del quale noi ci crediamo il centro, per avventurarsi dentro la Via Lattea, la nostra galassia, dentro la quale stiamo in proporzione come una moneta da dieci centesimi caduta nel territorio della Francia. Ha fatto sapere a casa, da bravo figlio, che attorno a lui è calata
una quiete inattesa e gli ultimi soffi del "vento solare", degli elettroni e protoni emessi dal Sole, non lo raggiungono più. Non ha trovato turbolenze, vortici, brutte compagnie, l'atteso e teorico "shock" che era stato previsto, e continua a sgambettare alla velocità di tredici chilometri al secondo, 46mila chilometri all'ora. Potrebbe viaggiare per sempre, nel "sempre" della vita dell'Universo, anche dopo che il suo cuore nucleare al plutonio avrà smesso di battere nel 2020.È un clandestino dell'Universo, il primo emigrato illegale sfuggito al Sole, che nessun'altra stella o galassia ha mai invitato. Perfetto simbolo delle perenni migrazioni di uomini e cose che l'umanità non cessa mai di compiere, indifferente a leggi, barriere, gravità. Tenta di portare con sé documenti che nel 1977, quando fu concepito e lanciato, fisici, matematici, filosofi della scienza, astrofisici come Carl Sagan, scrissero e immaginarono potessero essere comprensibili e decrittabili da creature intelligenti sparse fra i duecento miliardi di stelle. Potrebbero evitargli l'espulsione, la detenzione o la distruzione. È il "Disco d'oro", che sulle prime i progettisti non volevano perché temevano che potesse alterare gli equilibri sensibilissimi della sonda, ma dovettero accettare.Porta le prime battute dei Concerti brandeburghesi di Bach, sublime esempio di matematica dell'anima, 115 suoni della Terra, vento, mare, uccelli, balene, messaggi dei tromboni politici del momento, il segretario generale dell'Onu Waldheim e il presidente americano Jimmy Carter, dei quali a un ascoltatore del quinto o sesto millennio non potrebbe importare di meno. I saluti di terricoli in 55 lingue diverse; grafici con i parametri che rappresentano il sistema solare; simboli di molecole. Il tutto è inciso su un disco microsolco di rame placcato in oro a 16 giri, come gli album dell'epoca degli Elvis o dei Led Zeppelin, che ormai anche qui sulla Terra sarebbe quasi impossibile da ascoltare, essendo il "16 giri" estinto come i mammuth. Per questo, il "Disco d'oro" è chiuso in un cofanetto sigillato, con testina e puntina incluse, nella speranza che un E. T. un po' arretrato possieda un vecchio giradischi. O che oltre la Via Lattea esista un sito come e-bay dove acquistare apparecchi usati.Porta quindi nello spazio intergalattico il segno di un'epoca che non esiste più e ci appare lontanissima nello spazio e nel tempo, quanto lui. È l'ambasciatore di una Terra che, atomi e molecole ed equazioni a parte, non è più quella che lui lasciò. Anche i ragazzi di oggi, figuriamoci gli "alieni", faticherebbero a riconoscerla. Uomini e donne sono approssimativamente ancora quello che erano, qualche centimetro più alti nella media, grazie alla migliore alimentazione di tanti, e destinati a vivere un poco più a lungo, ma chi dovesse intercettare il clandestino delle stelle non lo saprà mai. Le immagini frontali di un maschio e di una femmina d'uomo, che erano state incise sui dischi inseriti nelle sonde Pioneer anch'esse destinate alle stelle, furono eliminate per le proteste dei puritani, indignati al pensiero che qualche inconcepibile creatura nell'universo potesse scandalizzarsi e pensar male di noi terrestri.Ma le similitudini fra l'oggi e il '77 finiscono con l'anatomia umana. Quel 1977 era l'anno della morte di Elvis Presley e dell'insediamento alla Casa Bianca di Carter, della benzina (in America) a 25 centesimi di dollaro al litro, della pace fra Egitto e Israele, con il primo riconoscimento di uno Stato arabo al diritto israeliano di esistere come nazione sovrana. Era l'anno dell'inaugurazione dell'oleodotto dell'Alaska, quello che avrebbe dovuto soddisfare per sempre la fame di petrolio, del primo volo commerciale del Concorde, della prima risonanza magnetica sperimentata a Brooklyn, dell'ultima esecuzione con la ghigliottina in Francia e della prima esecuzione di un condannato in America, dopo la pausa imposta dalla Corte Suprema. A Sanremo conduceva Mike Bongiorno e vincevano gli Homo Sapiens con Bella da morire e a Roma governava Giulio Andreotti. Proprio nel 1977, Spielberg ci illuse con i suoi Incontri ravvicinati.Il suo computer di bordo, che pure lo ha guidato in un viaggio interplanetario che ci ha regalato immagini meravigliose di Giove, Saturno e la prima foto cartolina del Sistema solare visto da fuori, inviata nel 1990, è un patetico processore con memoria da 68K, sessantottomila byte, quattro milioni di volte più piccola dei 256G, miliardi di byte dentro il minuscolo laptop sul quale sto scrivendo. Ma quella era la capacità dei personal computer che lanciarono la cyberivoluzione che oggi stiamo vivendo nella esplosione della Rete, era la memoria del Commodor Pet, commercializzato proprio nel 1977 o, nello stesso anno, dell'Apple II, l'antenato della dinastia degli Apple Macintosh. È archeologia del futuro, quella che il bambino ormai adulto e uscito dalla casa del Sole porta dentro di sé, nell'ipotesi neppure quantificabile che in un tempo lontano dai noi milioni di anni luce finisca nella rete di qualche pescatore interstellare. Ma se ascoltare il primo movimento dei Concerti brandeburghesi o il fruscio del vento in un bosco non dirà nulla agli ascoltatori di altri mondi, grazie a quell'ammasso di sofisticatissima e antiquata ferraglia che ora vaga tra le stelle, abbiamo finalmente la risposta all'interrogativo che ci tormenta dalla prima volta che il bisnonno scimmia si eresse sugli arti posteriori e alzò lo sguardo verso il cielo notturno. I viaggiatori interstellari esistono. Ed è lui. Io, robot.

sabato 14 maggio 2011

Sotto la crosta di Io, uno dei satelliti di Giove (scoperto da Galileo Galilei) gli scienziati americani hanno trovato un oceano di magma















Io è uno dei satelliti di Giove, il più vicino al grande Pianeta, ed è da tempo sotto osservazione per alcune sue stranezze. Questa settimana, nella rivista Science, ne è stata descritta un'altra: sotto la sua crosta solida ci sarebbe un oceano di magma incandescente.
I dati per capirlo erano lì da 10 anni e passa, li aveva raccolti la sonda NASA Galileo nel 2000, ma c'è voluto tutto questo tempo per permettere ai ricercatori di varie Università americane, fra cui spicca quella di California a Los Angeles, UCLA, per riuscire a capire cosa ci stavano "dicendo". La scoperta è importante perché si pensa che sia la Terra che la Luna, miliardi di anni fa, fossero in uno stato simile. Io ci darebbe insomma in qualche modo una foto del nostro passato, anche se un po' sfuocata.



Nonostante questo lontano satellite sia una quarantina di volte meno voluminoso della nostra Terra e una sessantina di volte meno massiccio, erutta 100 volte più lava sulla sua superficie ogni anno di quanto facciano i vulcani terrestri. Quindi piccolo, d'accordo, ma molto caldo e agitato, anche perché mentre da noi il magma incandescente arriva ai 1200 - 1300 gradi, su Io arriviamo ai 2000 gradi. E i vulcani lì sono tanti, probabilmente più dei 1500 attivi attualmente sulla Terra, di cui 10 in Italia, e distribuiti uniformemente sulla superficie di tutto il satellite e non raggruppati, come sul nostro Pianeta, dove li incontriamo nelle aree di raccordo delle varie faglie sotterranee.
Subito sotto la crosta di Io, che è di dimensioni circa doppie della Luna, ci sarebbe quindi uno strato di materiale magmatico spesso non meno di 50 chilometri, ma forse molto di più. Questo spiega le continue abbondanti eruzioni con pennacchi, osservati dalle sonde spaziali, che arrivano ai 300 chilometri di altezza, mentre il meccanismo che "scalda" il satellite e innesca le eruzioni è senz'altro dovuto alle enormi maree che Giove, centinaia volte più massiccio della Terra, esercita su Io. In altre parole pensiamo pure a una palla bucata in mille punti con dentro del liquido caldo, il magma, e due forti mani, la gravità di Giove dovuta alla sua imponente massa, che la schiaccia ora qua e ora là. Ma se Giove si diverte a far zampillare lava dai vulcani della sua luna più vicina, Io non sta con le mani in mano e più erutta lava e più distorce il campo magnetico di Giove stesso.
Nonostante tutto il necessario per capire il fenomeno fosse in archivio da 10 anni i ricercatori hanno dovuto cercare di riprodurre in laboratorio il fenomeno, specie per capire come faceva Io, una formica, a disturbare il campo magnetico gioviano, un elefante. Alla fine, come pubblicato questa settimana dai ricercatori USA, il risultato è stato chiaro: il magma incandescente è diverso da quello terrestre, è un composto semiliquido di magnesio e ferro, tale da poter spiegare l'effetto osservato. Rocce, solidificate di questo tipo sono presenti anche sulla Terra, ad esempio in Scandinavia.
Io è un satellite molto "italiano" e importante per la Scienza. Galileo Galilei lo osservò da Padova nelle notti fra il 7 ed il 10 gennaio 1610, con il suo rudimentale cannocchiale, assieme agli altri 3 satelliti: Europa, Ganimede e Callisto. Vederli girare attorno a Giove, nessuno prima lo aveva fatto, lo convinse che nello stesso modo erano i pianeti, compresa la Terra, a girare attorno al Sole. L'evidenza scardinava il sistema di conoscenza di allora, che reggeva da centinaia di anni. Credo a quello che vedo e che posso provare e ripetere, questo il succo di quelle notti fredde di cui darà conto nel suo "Nunzio Sidereo". E fu l'inizio di ciò che oggi chiamiamo Scienza, e scusate se è poco. Per questo la missione fu chiamata Galileo, in onore della sua intelligenza e coraggio.
Lanciata nel 1989, ottobre, finì nel 2003, settembre. Studiò a lungo Giove e i suoi satelliti, fra cui primariamente proprio i 4 scoperti dal Galilei. Dopo aver viaggiato per 4.6 miliardi di chilometri finì la sua missione immergendosi su Giove stesso. In tutto costò 1.5 miliardi di dollari circa e fece lavorare 800 tecnici e scienziati. La conoscenza di Giove, il grande regolatore del Sistema planetario e molto importante anche per la vita sulla Terra, è cresciuta enormemente grazie a questa missione e, come si vede, i suoi archivi riservano ancora importanti sorprese.

venerdì 7 gennaio 2011

IL MALE OSCURO DELLE BANANE






Il fungo - nome scientifico Razza tropicale 4 - è emerso alla fine degli anni 80 a Taiwan, dove ha distrutto il 70% delle coltivazioni di Cavendish, la varietà di banana che rappresenta oltre il 90% delle esportazioni. Poi si è diffusa in Indonesia, dove sono stati devastati 5mila ettari di coltivazioni. Con la stessa aggressività si è successivamente abbattuto su Malaysia, Cina, Filippine. E, più recentemente sull'Australia. Non c'è cura. Se contagia, la pestilenza uccide la pianta facendone marcire i frutti. Fino a produrre un odore fetido quasi come quello di un cadavere.
All'origine di questa potenziale catastrofe alimentare è proprio la sterilità delle banane selezionate per il consumo e l'esportazione, le Cavendish, che si propagano asessualmente quando nuovi ceppi nascono dalle radici della pianta del banano. Pur esistendo in natura molteplici varietà, la banana da esportazione oggi è praticamente una sola, la Cavendish. Che ha il pregio di essere facile da trasportare, grande e relativamente saporita, tutti fattori che hanno determinato il suo straordinario successo commerciale rendendo l'intero business monocoltura-dipendente. Questo sarebbe già in sé un problema, ma in aggiunta la Cavendish pecca di scarsa diversità genetica.
Il fungo Razza tropicale 4, che è solo la più recente seppur più deleteria variante patogena, esiste probabilmente da sempre. E probabilmente i danni sarebbero stati limitati se il colosso americano che un tempo si chiamava United Fruit ma che cambiò nome in Chiquita, non avesse trasformato in una delle più diffuse commodity al mondo il curioso frutto tropicale scoperto dai portoghesi nell'Africa occidentale e da loro importato nei Caraibi e in America centrale agli inizi del '500.
Negli anni d'oro della United Fruit, la varietà coltivata era un'altra. Si chiamava Gros Michel o Big Mike. Ma fu cancellata dal mercato negli anni 50 da un'altra pestilenza, e sostituita dalla Cavendish. Gli scienziati hanno appurato che il fungo uccide bloccando il sistema vascolare delle piante infette. «Inizialmente si pensava che a uccidere fossero le tossine del fungo, ma adesso riteniamo che qualcosa faccia scattare un meccanismo che induce la pianta a suicidarsi». In gergo scientifico il meccanismo è chiamato "morte cellulare programmata". Poiché la continua propagazione del Razza tropicale 4 viene data quasi per scontata, gli addetti ai lavori più che una cura sperano si riesca a trovare una varietà di Cavendish resistente al fungo.
A Brisbane, in Australia, il professore della Queensland University of Technology James Dale è impegnato nella modificazione genetica di Cavendish da circa 20 anni. E con il suo team è alla ricerca di un un gene che possa agire da interruttore disattivando il meccanismo di morte cellulare programmata. In pratica un gene che impedisca alla pianta di suicidarsi. Ma c'è anche chi cerca una soluzione con metodi di selezione tradizionali. In primis l'agronomo honduregno Juan Fernando Aguilar, il quale ha scoperto che le Cavendish non sono del tutto sterili. Con una procedura di fertilizzazione forzata, Aguilar è riuscito a produrre un seme ogni diecimila banane. Da uno di questi preziosissimi semi è nata ha una piantina - codice 06-04-333 - che lui chiama "mi esperanza". La speranza è che sia la capostipite di una nuova Cavendish a prova di fungo.

domenica 2 gennaio 2011