giovedì 8 ottobre 2009

BOSSI NON HA INVENTATO NULLA DI NUOVO

Nel 1910, su Lotta di classe, l’ancora socialista Mussolini scriveva: «Roma, città parassitaria di affittacamere, di lustrascarpe, di prostitute, di preti e di burocrati, Roma - città senza proletariato degno di questo nome - non è il centro della vita politica nazionale, ma sibbene il centro e il focolare d’infezione della vita politica nazionale (…). Basta, dunque, con lo stupido pregiudizio unitario (alé ;) per cui tutto, dev’essere concentrato in Roma - in questa enorme città-vampiro che succhia il miglior sangue della nazione».

7 ottobre 1571 LA BATTAGLIA DI LEPANTO

La coalizione cristiana era stata promossa da papa Pio V per soccorrere la veneziana città di Famagosta, sull'isola di Cipro, assediata dai Turchi e strenuamente difesa dalla guarnigione locale.

La flotta della lega fece rotta verso CIpro, dopo aver riunito 50 navi veneziane, 79 galee della Spagna, con l'aiuto di 3 galee del Ducato di Savoia, 12 galee toscane noleggiate dal Papa, 28 galee genovesi e le forze maltesi degli Ospitalieri.

La flotta cristiana fu raggiunta dalla notizia della caduta di Famagosta e dell'orribile fine inflitta dai musulmani a Marcantonio Bragadin, il senatore veneziano comandante la fortezza. Il 1º agosto i veneziani si erano arresi, con l'assicurazione di poter lasciare indenni l'isola di Cipro. Ma Lala Kara Mustafa Pascià, il comandante turco che aveva perso più di 52.000 uomini nell'assedio (e, tra questi, suo figlio), non aveva mantenuto la parola e Venerdì 17 agosto Bragadin era stato scorticato vivo di fronte ad una folla di musulmani esultanti e la sua pelle, conciata e riempita di paglia, era stata innalzata come un manichino sulla galea di Mustafà Lala Pascià insieme alle teste di Astorre Baglioni, Alvise Martinengo e Gianantonio Querini.

Nonostante il maltempo le navi della Lega presero il mare verso Cefalonia, sostandovi brevemente, e giungendo, il 6 ottobre davanti al golfo di Patrasso, nella speranza di intercettare la potente flotta degli Ottomani.

Il 7 ottobre 1571, che era di Domenica, Don Giovanni d'Austria fece schierare le proprie navi in formazione serrata, deciso a dar battaglia. In totale la flotta cristiana si componeva di 6 galeazze, 206 galee, 30 navi da carico, circa 13000 marinai, circa 44000 rematori, circa 28000 soldati con 1815 cannoni, era comandata da Don Giovanni d'Austria ventiquattrenne figlio illegittimo del defunto Imperatore Carlo V e fratellastro del regnante Filippo II, il corno sinistro dello schieramento era comandato da Agostino Barbarigo, ammiraglio veneziano, il corno destro dal genovese Gianandrea Doria.

I Turchi schieravano l'ammiraglio Mehmet Shoraq (detto Scirocco) all'ala destra con 55 galee, il comandante supremo Mehmet Alì Pascià (detto il Sultano) al centro con 90 galee conduceva la flotta a bordo della sua ammiraglia Sultana, su cui sventolava il vessillo verde sul quale era stato scritto 28.900 volte a caratteri d'oro il nome di Allah. Infine l'ammiraglio, considerato il migliore comandante ottomano, Uluč Alì (Giovanni Dionigi Galeni), un apostata di origini calabresi convertito all'Islam (detto Occhialì), presiedeva all'ala sinistra con 90 galee; nelle retrovie schieravano 10 galee e 60 navi minori comandate da Amurat (Murad) Dragut (figlio dell'omonimo Dragut Viceré di Algeri e Signore di Tripoli che era stato uno dei più tristemente noti pirati barbareschi).

Don Giovanni decide di lasciare isolate in avanti, come esca, le 6 potentissime galeazze veneziane, due davanti ad ogni "corno". Le galeazze davanti allo schieramento veneziano, camuffate da navi da carico, erano al comando degli ammiragli Antonio e Ambrogio Bragadin, che bramavano di vendicarsi per la brutalissima uccisione del loro fratello a Famagosta . All'avvicinarsi degli ignari Turchi, queste scaricano cannonate con una potenza di fuoco mai vista prima sul mare. Le linee ottomane subiscono molte perdite ma Alì Pascià in preda a furore bellico decide di superare di slancio le galeazze.

Queste navi erano inabbordabili, vista la loro notevole altezza: di conseguenza Don Giovanni aveva deciso, dietro consiglio del Doria, di togliere un gran numero di spadaccini dalle galeazze e sostituirli con archibugieri, i quali crearono gravi danni alla flotta turca.
Alì, senza impegnarsi in battaglia con queste grosse navi, dopo averle superate, decide di scagliare tutta la sua flotta in uno scontro frontale, mirando unicamente all'abbordaggio della nave di Don Giovanni per provare ad ucciderlo subito demoralizzando così la flotta della Lega Cristiana, ed essendo in superiorità numerica (167-235) tenta di circondarla.

Per i cristiani gli scontri all'inizio coinvolgono pesantemente il veneziano Barbarigo, che è alla guida dell'ala sinistra e posizionato sotto costa; deve parare il colpo del comandante Scirocco, impedire che il nemico possa insinuarsi tra le sue navi e la spiaggia per accerchiare la flotta cristiana. Ferito gravemente alla testa, Barbarigo muore e le retrovie devono correre in soccorso dei veneziani per scongiurare la disfatta: ma grazie all'arrivo della riserva guidata dal Marchese di Santa Cruz le sorti si riequilibrano e così Scirocco viene catturato, ucciso e immediatamente decapitato.
Al centro degli schieramenti Alì Pascià cerca e trova la galea di Don Giovanni d'Austria, la cui cattura risolverebbe definitivamente lo scontro. Con un rumore assordante i Turchi iniziano l'assalto alle navi di Don Giovanni suonando timpani, tamburi, flauti. Il vento è a loro favore. La flotta di Don Giovanni è nel più assoluto silenzio. Quando ilegni giungono a tiro di cannone i cristiani ammainano tutte le loro bandiere e Don Giovanni innalza lo Stendardo di Lepanto con l'immagine del Redentore Crocifisso. Una croce viene levata su ogni galea e i combattenti ricevono l'assoluzione secondo l'indulgenza concessa da Pio V per la crociata. Improvvisamente il vento cambia direzione : le vele dei Turchi si afflosciano e quelle dei cristiani si gonfiano. Don Giovanni d'Austria perciò punta fulmineamente diritto contro la Sultana. Il reggimento di Sardegna dà per primo l'arrembaggio alla nave turca, che diviene il campo di battaglia. Don Giovanni viene ferito ad una gamba. Più volte le navi avanzano e si ritirano, Venier e Colonna devono disimpegnarsi per accorrere in aiuto a Don Giovanni che sembra avere la peggio assieme all'onnipresente Marchese di Santa Cruz.
Alla sinistra turca, al largo, la situazione è meno cruenta ma un po' più complicata. Giovanni Andrea Doria dispone di poco più di 50 galee, ma davanti a sé trova 90 galee; per questo pensa ad una soluzione diversa. Giovanni Andrea Doria infatti, a un certo momento della battaglia, si sgancia con le sue navi genovesi facendo vela verso il mare aperto.
Il ruolo cruciale di Gianandrea Doria è sempre stato oggetto di disputa da parte dei Veneziani: inaspettatamente spaccò il lato destro dello schieramento cristiano. A quel punto Uluc Ali si insinuò all'interno della flottiglia genovese, pensando fosse in fuga e attaccando il fianco destro dello schieramento di Don Giovanni, procurandogli forti perdite. Uluc Alì, con il vento in poppa, aggredì da dietro la Capitana, la nave ammiraglia dei Cavalieri di Malta, al cui comando era Pietro Giustiniani, priore dell'Ordine. La Capitana viene circondata da sette galee. Uluc Alì cattura il vessillo dei Cavalieri di Malta, fa prigioniero Giustiniani, che era stato eroicamente ferito sette volte, e prende a rimorchio la Capitana. Oltre la Capitana di Malta, pagarono cara la "strana" manovra di Gianandrea Doria, anche laFiorenza e la San Giovanni della flotta papale, e la Piemontesa della flotta sabauda, che circondate da un nugolo di galee di Uluc Alì, si votarono lottando, all'estremo sacrificio. Non è stato ancora chiarito il motivo di questa manovra del Doria: fatto sta che non fugge: anzi, ritornato sui suoi passi, egli piomba alle spalle dello schieramento ottomano e, pur trovandosi di fronte ad un numero doppio di navi avversarie, le dissesta totalmente.
Il Papa in seguito minacciò di morte Doria se si fosse presentato a Roma, dicendo che per il momento faceva meglio a starsene lontano: le sue azioni erano, secondo il pontefice, più da corsaro musulmano che da comandante della Cristianità; la sua galea e le navi genovesi avevano subito meno perdite di tutto lo schieramento cristiano.

Giunto di fronte al mare aperto Doria ribaltò le sorti della battaglia nel fianco destro, con un'abile manovra; aggirato lo schieramento ottomano si contrappose all'incredulo Uluc Ali. Dopo un'ora di cruenta battaglia, Uluc con le poche galee rimastegli è in fuga verso Costantinopoli.

Al centro, il comandante in capo ottomano Alì Pascià, già ferito, cade. La nave ammiraglia ottomana è abbordata e, contro il volere di Don Giovanni, il cadavere dell'ammiraglio ottomano Alì Pascià viene decapitato e la sua testa esposta sull'albero maestro dell'ammiraglia spagnola. La visione del condottiero ottomano decapitato contribuì enormemente a demolire il morale dei Turchi. Di lì a poco, infatti, alle quattro del pomeriggio, le navi ottomane rimaste, abbandonavano il campo, ritirandosi definitivamente. Il teatro della battaglia si presentava come uno spettacolo apocalittico: relitti in fiamme, galee ricoperte di sangue, morti o uomini agonizzanti. Erano trascorse quasi cinque ore quando la battaglia ebbe termine con la vittoria cristiana.

Gli Ottomani avevano a stento salvato un terzo (circa 80) delle loro navi.

Nelle città d'occidente la notizia venne accolta in un tripudio di feste e gioia popolare che durarono giorni;

Papa Pio V nel 1572 istituirà la "Festa di Santa Maria della Vittoria", successivamente trasformata nella "Festa del SS. Rosario", per celebrare l'anniversario della storica vittoria ottenuta "per intercessione della augusta Madre del Salvatore, Maria".

Ancora oggi non sono chiari, e probabilmente mai lo saranno, i meccanismi che hanno condotto alla vittoria della flotta cristiana, e i meriti, o le colpe, o le casualità, o le provvidenze. Ma la bandiera della nave ammiraglia turca di Mehmet Alì Pascià, presa da due navi pisane, la "Capitana" e la "Grifona", si trova (e ognuno può vederla) a Pisa, nella chiesa dei Cavalieri dell'Ordine Cavalleresco Sacro Militare Marittimo di Santo Stefano Papa e Martire, fondato da Cosimo I de' Medici granduca di Toscana.