Obama si definisce post partisan, oltre le parti, quindi oltre la destra e la sinistra ed e' giusto cosi', non si puo' entrare nel XXI secolo con le categorie del XX.
Sconfitto il comunismo l'America ha spostato il suo asse portante dall'Atlantico al Pacifico ed ha fatto un patto con l'Asia basato sulla divisione prima del mondo: L'Asia produttrice di merci a basso costo, l'America compratrice a debito. L'America ha cominciato a configurarsi come un impero liberale e benevolo, seduttivo e democratico; tuttavia ha rischiato di seguire il medesimo destino dell'impero romano: Graecia capta ferum victorem coepit". La globalizzazione ha contaminato l'America, ha creato confusione, contaminazione tra usi, costumi, valori, simboli. Ed e' cosi', tra fusion e new age, che si arriva all'eclettismo di fine secolo.
Il dilemma dell'America e' tra due modelli: Eliogabalo e Adriano. Eliogabalo era Cllinton: cio' che e' bene per Wall Street e' bene per l'America, cuore a sinistra e portafoglio a destra. Non esistono valori assoluti, solo valori relativi, se possibile da quotare in borsa. Al secondo modello, ad Adriano, pio' corrispondere Obama, che si riporta alla tradizione dei democratici anni '30, ai valori roosveltiani, e che ha la sorte di concorrere a disegnare un nuovo modello di civilta'. La crisi e' globale e la soluzione puo' essere solo globale, non solo economica, ma politica, basata su un New Deal globale. Prima della crisi le analisi sono mancate del tutto, e infatti la crisi è arrivata improvvisa e imprevista. Adesso si stanno formando alcune analisi, ma vedono gli effetti e non le cause della crisi. La crisi è globale non tanto perché è estesa su scala globale, dall’America all’Europa, dall’Asia all’America Latina, quanto perché è nella globalizzazione stessa, fatta troppo presto e troppo a debito, che si radica e nella sua meccanica costitutiva».
«Crisi di questo tipo si sviluppano solo quando si aprono i grandi spazi. È stato così secoli fa con la scoperta "geografica" dell’America, è così ora con la scoperta "economica" dell’Asia. La crisi finanziaria è in realtà essa stessa un "derivato" della globalizzazione, un effetto collaterale degli squilibri che ha portato cambiando troppo di colpo la struttura e la velocità del mondo. Tutto nasce nello scambio tra Asia e America, tra merci e capitali. L’America compra le merci creando debito interno, a partire dai mutui ipotecari, e debito esterno, attirando i capitali asiatici, frutto del commercio con l’America stessa, sui titoli americani. È su questa piattaforma finanziaria, sviluppata fuori da ogni giurisdizione nazionale e dunque fuori da ogni controllo, che si è radicata, con la sua dinamica degenerativa, la moderna "tecnofinanza": dai subprime ai nuovi bond, dagli hedge ed equity fund, ai derivati».«È come essere dentro un videogame: arriva un mostro, lo batti, e mentre tiri il respiro ne arriva un secondo, diverso. E poi un terzo, ancora più grande, e un quarto. Il primo mostro sono stati i mutui, ed in qualche modo sono stati gestiti. Ora sta arrivando il secondo, le carte di credito, che in America sono carte di debito, e anche questo potrebbe essere gestito. Si sta avvicinando il terzo mostro, i finanziamenti alle imprese, inclusi i corporate bond in scadenza. E sullo sfondo si profila il supermostro, i "derivati"».«Una massa abnorme. La catena di "creazione del valore" si basava su di una tecnica speciale e su un principio fondamentale. La tecnica "speciale" era la concessione di credito ad un fondo, la cessione del credito ad un terzo, la sua trasformazione in un prodotto finanziario, la sua moltiplicazione iperbolica, infine il suo collocamento sul "mercato", esteso dalle banche alle famiglie. Il principio fondamentale era quello della catena di Sant’Antonio, modernamente configurato sul presupposto dello sviluppo universale perpetuo». Ma, come affermava San Tommaso D’Aquino: Nummus non parit nummos». Come nelle catene di Sant’Antonio, la meccanica si è bloccata quando qualcuno ha smesso di spedire le cartoline. Quando la sfiducia, causata dall’eccesso di fiducia, ha bloccato la catena. Chi sapeva, e proprio perché sapeva, ha cominciato a uscire, a vendere al meglio, e a organizzarsi il soggiorno alle Cayman in attesa dell’Fbi. Meno folcloristicamente, sono i banchieri che hanno cominciato a non fidarsi più dei banchieri, bloccando la circolazione del sangue nel "corpus" della finanza». Obama «Ha davanti due scenari. Uno ordinario, come è stato finora: colossali swap che caricano i debiti privati sul debito pubblico e girano le perdite dal presente alle generazioni future. Oppure Obama può essere alla fine costretto dalla realtà ad andare verso uno scenario straordinario, a non ascoltare i templari della finanza fallimentare, ad applicare pensiero laterale. Staccando la finanza buona da quella cattiva, neutralizzando la massa dei derivati. Ispirando questa politica alla logica positiva dello shabbat, l’anno della remissione dei crediti e dei debiti, l’anno simbolico della ripartenza». «Sta prendendo forma una nuova architettura di governo del mondo basata su principi simili a quelli del New Deal. L’idea del primato della politica sull’economia, l’idea del mercato finanziario che non si autoregola. Puoi anche scrivere un codice della strada di mille articoli, ma non funziona se non hai i semafori, i vigili e le multe. Per questo si devono vietare i paradisi legali, gli strumenti della tecnofinanza. È per questo che si deve utilizzare il Fondo Monetario anche come struttura di controllo. E tuttavia regolare la finanza non basta. Serve soprattutto un nuovo equilibrio nelle clausole commerciali, sociali e ambientali. Nel primo G8 del 2001 avevo proposto fair trade. Nei discorsi di Obama, non di altri, lei trova la parola fair trade». (Giulio Tremonti)