Nel 1977 Etsuro Sotoo era un giovane insegnante d’arte a Kyoto che sentiva il richiamo dell’arte stessa più che della sua didattica. «Il richiamo della pietra», dice lui. Piantò tutto e venne in Europa a far lo scultore. A Barcellona, imbattersi nella Sagrada Familia e rimanerne calamitato fu un tutt’uno. «Voglio fare lo scultore qui».
Con tenacia orientale cercò l’accesso e si ritrovò davanti all’architetto Puig i Boada, uno dei direttori del cantiere, che lo ascoltò e gli disse: «Scolpisca una foglia di nespolo». Solo una foglia? Gli sembrava un esame fin troppo banale, ma la commissione restò convinta. Quella foglia… sembrava fatta da Gaudí stesso. Non era imitazione, né falso, né piaggeria. Era sintonia. Da allora Sotoo ha completato molte parti in profondo accordo con il maestro.
Quarantatré anni dedicò Antoni Gaudí alla Sagrada Familia, dal 1883 al 1926, come i costruttori delle grandi cattedrali, in maniera sempre più intensa ed esclusiva, fino a trasferirsi dentro al cantiere. Alla sua morte era conclusa la cripta e qualche torre, ma egli vedeva l’immensa opera nei dettagli. Una soleggiata mattina d’inverno gli chiesero di spiegare il progetto e Gaudí descrisse a lungo ogni particolare con i relativi significati.
Gaudí era cosciente che il suo ingente monumento avrebbe richiesto tempi molto lunghi e l’intervento di architetti e artisti diversi in epoche di gusti e tecnologie diverse. Così non volle fissare le tecniche costruttive perché sapeva che i progressi futuri avrebbero suggerito soluzioni migliori. Ma per lo stesso motivo lasciò terminate certe parti fino alla minuzia perché servissero d’orientamento in tempi avvenire. Com’è stato. Nella Guerra civile furono distrutti i progetti.
Con tenacia orientale cercò l’accesso e si ritrovò davanti all’architetto Puig i Boada, uno dei direttori del cantiere, che lo ascoltò e gli disse: «Scolpisca una foglia di nespolo». Solo una foglia? Gli sembrava un esame fin troppo banale, ma la commissione restò convinta. Quella foglia… sembrava fatta da Gaudí stesso. Non era imitazione, né falso, né piaggeria. Era sintonia. Da allora Sotoo ha completato molte parti in profondo accordo con il maestro.
Quarantatré anni dedicò Antoni Gaudí alla Sagrada Familia, dal 1883 al 1926, come i costruttori delle grandi cattedrali, in maniera sempre più intensa ed esclusiva, fino a trasferirsi dentro al cantiere. Alla sua morte era conclusa la cripta e qualche torre, ma egli vedeva l’immensa opera nei dettagli. Una soleggiata mattina d’inverno gli chiesero di spiegare il progetto e Gaudí descrisse a lungo ogni particolare con i relativi significati.
Gaudí era cosciente che il suo ingente monumento avrebbe richiesto tempi molto lunghi e l’intervento di architetti e artisti diversi in epoche di gusti e tecnologie diverse. Così non volle fissare le tecniche costruttive perché sapeva che i progressi futuri avrebbero suggerito soluzioni migliori. Ma per lo stesso motivo lasciò terminate certe parti fino alla minuzia perché servissero d’orientamento in tempi avvenire. Com’è stato. Nella Guerra civile furono distrutti i progetti.
Ci sono rimaste le sue parole, forse i suoi sogni. «Sull’altare maggiore – spiegava – si adorerà il Divino Crocifisso, dal cui braccio verticale uscirà una vite, a simboleggiare le parole di Cristo: "Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto; chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca". La vite formerà un baldacchino che sarà allo stesso tempo un lampadario. Cinquanta lampade penderanno da esso, a ricordo della frase del Salvatore: "Io sono la luce del mondo", come nel primitivo altare di san Giovanni in Laterano».
Oggi, con le navate concluse, è bellissimo sentire ancora la sua voce dinanzi a ciò che è stato costruito un secolo dopo: «Stiamo studiando il modo di imprimere agilità e permettere il passaggio della luce, ottenendo leggerezza tramite l’assenza di masse murarie, mediante un sistema di archi parabolici che conducono le spinte fino alle fondamenta… Il tempio sarà molto luminoso, con belle filtrazioni di luce, combinandosi quella che scenderà dalle alte torri con quella dei finestroni di cristallo».
Etsuro Sotoo riconosce con modestia qual è stata la chiave che ha permesso di proseguire l’opera senza un progetto: non tanto guardare Gaudí, ma guardare dove guardava Gaudí: «Unire struttura, funzionalità e simbolismo è uno dei segreti dell’opera di Gaudí che dobbiamo imparare. Nel mondo di oggi l’autentico simbolismo, quello che può dirigerci verso il nostro destino, è assente. Il simbolismo dà senso a tutti i materiali. Il disegno dei simboli è come la genetica: nel mondo c’è caos e Dio ha messo ordine. Il simbolismo è il linguaggio con cui Dio ci fa capire l’ordine delle cose». Rimettendo le mani dove le aveva messe Gaudí, aggiungendo sculture e ornamenti, Sotoo è approdato alla fede cattolica. Un suggello dell’immedesimazione col maestro.